Vinicio Capossela è atteso al Teatro Rossini di Pesaro domenica 25 ottobre con Pandemonium. Narrazioni, piano voce e strumenti pandemoniali. L’appuntamento con il cantastorie – su invito del Comune di Pesaro e dell’AMAT – era inizialmente previsto lo scorso marzo e sospeso a causa dell’emergenza sanitaria.
Ora giunge finalmente in scena in doppia rappresentazione, alle ore 18.45 e alle ore 21.30, con il rispetto di tutte le procedure di legge per il contenimento della diffusione del Covid previste dalla normativa vigente.
Con Vincenzo Vasi offre al pubblico pesarese un concerto narrativo con canzoni messe a nudo, scelte liberamente in un repertorio che questo anno va a compiere i trent’anni dalla data di pubblicazione del primo disco All’una e trentacinque circa. Da Pan, tutto, e demonio: tutto demonio, in opposizione a pan theos, tutto Dio. Dunque un concertato per tutti i demoni, accompagnato da un insieme di strumenti musicali che insieme evocano il Pandemonium, mitico strumento gigantesco, del tipo dell’organo da fiera, completamente realizzato in metallo. A costruire il Pandemonium sembra siano stati i sudditi del re Laurino, esseri di piccola statura, abitanti di un regno sotterraneo in grande confidenza con l’estrazione mineraria. Questa origine ctonia conferirebbe un tono grave allo strumento che tiene a bassa quota lo spirito relegando ritmi e armonie a una dimensione infera, primitiva; i suoni che da esso si propagano non si elevano al cielo, ma sembrano sprofondare nella terra, a tiro del fuoco perenne, in un rimestamento che è lavorio della memoria continuamente sollecitata al fuoco bianco. Pandemonium è anche il nome della rubrica quotidiana tenuta da Capossela durante il periodo di isolamento per il lockdown, sorta di almanacco del giorno, che indagava le canzoni e le storie che ci stavano dietro mettendole in connessione con le storie di una attualità apparentemente immobile, ma in continuo cambiamento.
“Il demone a cui mi riferisco in questo Pandemoium – afferma Capossela – è il dáimōn dei greci. L’essenza dell’anima imprigionata dal corpo che è il tramite tra umano e divino. Il destino legato all’indole, e quindi al carattere. Pan Daimon, tutti i demoni che fanno la complessità della nostra natura, tutte le stanze di cui è composto il bordello del nostro cuore.Il Pandemonium è la somma delle nature nelle loro contraddizioni. Per esempio, ambire all’unione e allo stesso tempo coltivare la clandestinità, avere tensione alla spiritualità e dissiparsi nella carne, ambire all’unità e andare in mille pezzi. Un luogo in cui tutte le nature del nostro carattere hanno voce per esprimersi. Nature che generano cacofonia, il pan panico, la confusione del tutto quanto, l’entropia incessante che ci fa continuamente procedere e separare. Tutti i dáimōn, come in un vaso di pandora liberati nell’isolamento e nell’insicurezza che ci ha colti nella pandemia. Nuove e antiche pestilenze. Ma allo stesso tempo il dáimōn è l’angelo, l’entità che fa da ponte col divino. Perché un po’ di divino nell’uomo c’è, pure se impastato col fango e il dáimōn lo rimesta e solleva. Ho sentito parlare di questo enorme strumento, un grande organo fatto di metalli estratti dalle viscere della terra, dalle creature intraterrestri, i nani che battono e forgiano nelle cavità ctonie, il cui rimbombo ci raggiunge col brontolare del tuono, e provoca il frastuono. Il disordine continua il suo lavoro, fino nelle fibre dell’invisibile e ci modifica incessantemente. Noi cerchiamo di mettere un po’ di ordine, salvare qualche emozione pura, forgiandola in canzone e suonandola in solitudine. Una solitudine amplificata. C’è sì un compagno, un rumorista intraterrestre, Vincenzo Vasi, ma è lì per fare sentire la mancanza dell’orchestra, non per colmarla. Funge da amplificatore di echi nella solitudine della pancia della balena, durante l’eclissi. Amplifica le sue volte, le sue caverne e i suoi strati. Batte i metalli delle piastre del vibrafono e li fa espandere, come la goccia provoca cerchi quando cade. Suona le voci fantasma nascoste nel Theremin e rigenera i suoni del mondo. E poi c’è l’intimità del colloquio, così come è avvenuto nella distanza. La narrazione che svela le storie e gli scheletri negli armadi delle canzoni. Un repertorio scelto di volta in volta nei cunicoli scavati in trent’anni di canzoni. Questa è l’intimità che si propone il nostro incontro pandemoniale in musica nell’estate dei ruggenti anni venti, venti”.
Informazioni: Teatro Rossini 0721 387621, AMAT 071 2072439.