[progetto di residenza]
scritto da Giovanni Testori
un progetto di e con Ian Gualdani
panorama sonoro Giacomo Vezzani
con uno sguardo di Antonio Latella per Bottega Amletica Testoriana
organizzazione Maria Lucia Bianchi
scenotecnica Adele Cammarata
realizzazione abito Pina Muti
produzione Movimenti Artistici Trasversali per Opera del Rosso
con il sostegno di AMAT, Comune di Pesaro e Casa Testori
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1. BRAINSTORMING
Sostenendosi drammaturgicamente all’omonimo atto unico (scritto e pubblicato da Giovanni Testori nel 1943 all’interno della rivista Pattuglia, seppure mai messo in scena sino ad ora), La Morte vuole essere un dispositivo autoptico tramite il quale sovraesporre l’impossibilità di assimilare la finitezza organica, una disamina estetica che smotta il dataismo per affondare nel cuore sanguinante dell’inquietudine umana.
Il soggetto per Testori è “Un figlio che muore”. Essere figli (quindi generati) e morire sono tra le poche caratteristiche che si può dire accomunino ciascun essere. La drammaturgia testuale sono le febbrili memorie di un figlio al cospetto della fine, inserite in una matrioska (muore il figlio, che è l’inconsapevole presentatore Alberto della cornice iniziale, che – per sua ammissione – si muove e parla né più né meno di come l’autore vuole) che vede un percorso stratificato all’interno del turbamento di chi non può comprendere ed accettare il proprio morire.
L’autore traspone testualmente il sopraggiungere della morte tramite la corruzione organica delle memorie del ragazzo. Nel delirio onirico le immagini e le impressioni appaiono in un palpito, si sfaldano, si deteriorano, poiché sono organiche, mutevoli e vive. Le fragole che andava a raccogliere sul torrente sono adesso gialle ed avvizzite, le vele delle barche che salpavano il fiume sono cenere: “Ricordi quando andavamo giù al torrente? Tra le barche e a piedi nudi… a piedi nudi risalivamo il corso dell’acqua, tra il folto delle piante. Correvamo cercando le fragole nell’umido. Mamma! Ho trovato una fragola… sono tutte avvizzite adesso, le fragole, sono diventate gialle”. Ripercorrendo per piazzole questa memoria in totale decomposizione, l’individuo, come raccolta viscerale di informazioni, si disintegra inevitabilmente, svelando infine un nuovo sfondo d’unità e trascendenza: “Com’è grande la luce: ci si annega dentro, come un mare, un mare senza sponde”. Come un domino si sbrogliano gli irrisolti: con l’ingresso da fuori scena della verità (nel testo affidata ad un’attrice, la signorina del pubblico), l’accettazione della morte culmina in una danza enigmaticamente posta da Testori a cavallo tra la liberazione ed il diversivo.
Nella messa in scena i piani si accavallano: l’interprete è uno solo ed attraversa compulsivamente le parole dell’autore tentando di avvinghiarsi alla loro straordinaria vitalità, immesso all’interno di un dispositivo che oscilla violentemente tra l’emersione lancinante di simboli (come sintetizzato da Feuerbach: simboli come ineluttabilità violenta, carnale, squarciante; non simboli come trasmissione iconografica o moda) ed il dataismo (pensiero corrente, passivamente assunto, per il quale tutta l’esperienza umana è riproducibile e riconducibile ad un insieme di dati amministrabile digitalmente tramite algoritmo).
Il trait d’union della sopra espressa dicotomia è il rosario, presente insistentemente anche nell’opera originale per mezzo della figura della madre che prega a fianco del figlio morente per tutta la durata dell’atto unico. In questo adattamento la parola religiosa è sostituita però con la parola di Testori: il testo si reitera (anche digitalmente), sostenta, è custodito dentro di sé come una cruda preghiera alla quale ci si affida e nella quale si confida.
2. SPAZIO
La volontà è di stratificare ulteriormente la già intricata matrioska di Testori, estendendone i sensi anche verso una dimensione di annichilimento disperato, privato di speranze o divinità, riconducibile all’irreparabile frattura generazionale e culturale che stiamo vivendo.
Nell’impossibile corsa umana per sfuggire la morte, il vuoto descritto da Testori nella didascalia iniziale del suo atto unico, diventa in questo adattamento interamente computerizzato: l’illusione è che vi sia nella digitalizzazione e nel codice binario la possibilità di eludere la finitezza, ma il vuoto è rivestito da diversivi e stratagemmi, ed il terrore e l’irrequietezza generano strutture virtuali e sbilanciate.
Affidiamo la nostra vita oltre la morte ad un disco compatto, le nostre memorie sono sigillate dentro una serie di floppy disk. Il riparo diviene una memoria esterna, un insieme di cavi che alimenta il vuoto come assenza della materia, la non accettazione del morire che si installa nell’avvenirismo religioso del digitale: la fede del nuovo millennio è che l’informatica abbatta la morte.
L’illuminazione sarà gestita internamente dalla scena, con una modalità non teatrale. La scena si propone di essere un ambiente tra l’informatico ed il laboratoriale: cavi esposti come arterie, monitor audio di varie dimensioni e qualità, diffusori che proiettano una luce appiattente e chirurgica, elementi scientifici che rimandano ad un approccio illuministico (recipienti per la biologia, forbici, provette).
3. SUONO
Per questo progetto non desideriamo affidare il lavoro sul digitale alla componente video, ma concentrare la sperimentazione sull’aspetto sonoro dell’emisfero informatico. Il suono è completamente computazionale.
Strutturalmente le sonorità hanno una impostazione videoludica: i passaggi sonori procedono subliminalmente come dei loop. La musica nei videogiochi è pensata per riempire, ma – siccome non è determinabile quanto un giocatore impieghi a completare una determinata sezione di gioco – procede per loop potenzialmente infiniti. In questo una sezione musicale deve collocarsi in uno spettro di possibilità per cui è atmosferica e piena, ma allo stesso tempo il giocatore non può notarne l’intrinseca ripetitività.
Nella messa in scena gli ambienti sonori ripercorrono i luoghi evocati nell’atto unico di Testori, ponendosi come una memoria parallela a quella scandagliata testualmente: il sottobosco, il ruscello, la caverna – tutte le piazzole percorse dal figlio, si tramutano in un codice di suoni, nella schematizzazione di una memoria viva, che diviene inevitabilmente inamovibile, esatta, paralizzata, loop.
Sonorità differenti affiorano da molteplici fonti simultaneamente: un mormorio ossesso da un vecchio monitor audio, un motivetto appena percettibile da un telefono cellulare, l’ambiente aggressivo e ritmato del torrente dall’impianto audio principale. Alcune di queste sonorità si fermano, altre proseguono, si bloccano, vengono sostituite, si smagnetizzano, nutrono il senso di inquietudine della messa in scena con una caoticità liminale.
4. FIGURE
In questo adattamento la presenza di un unico interprete nutre ulteriormente l’idea che l’intera opera sia la liturgia di una morte: le varie figure invocate da Testori si materializzano talvolta tramite il performer, talvolta testualmente, talvolta simbolicamente, in un sovrapporsi di segni che avvicina progressivamente il figlio (noi figli) alla consapevolezza, quindi all’accettazione e alla luce.
“Questa sera non vi divertirete” sono le parole con cui Alberto (il presentatore) accoglie il pubblico nell’atto unico: è anche e soprattutto la dichiarazione d’intenti dell’autore. In questo
adattamento l’introduzione è affidata allo stesso dispositivo: un’asta con un microfono rotto che butta cavi spezzati come fossero radici, giace a fianco – un corpo morto, ignaro della sua morte.
La madre nel testo è una presenza in preghiera, accartocciata sul rosario e persa in risposte monosillabiche. In questo adattamento è la mole di ninnoli di cui si è dimenticato il tratto viscerale: dal rosario, all’ex voto, all’abito femminile – austero, ma decaduto. Artefatti come pura presenza di polvere, un tempo densi di mistero incomunicabile, adesso consuetudine angolare, roba da mensola del robivecchi.
5. FUNZIONE COME REALTÀ
Nel finale si pensa di convocare in scena il dato reale: la morte come fatto organico ed inevitabile.
In Testori viene attivato un gioco teatrale per cui una signorina nel pubblico simula panico e dichiara, dopo una breve ispezione, la morte effettiva del figlio in scena. Al di là degli stratagemmi, è interessante la volontà dell’autore di invocare la morte come dato esterno alla finzione del palco, ed instillare nel pubblico, anche solo per un istante, l’idea che la morte scenica sia stata effettiva. Testori tenta, con i mezzi e gli stilemi dell’epoca, di evocare la morte in quanto dato e non in quanto rappresentazione.
In questo adattamento si vuole tentare di raggiungere il medesimo risultato: sarà esposto un elemento organico (vegetale o animale) in piena decomposizione.
È l’ingresso in scena della morte come elemento reale, come putrefazione. In sala si disperde l’odore di cadaverina, come una coltellata nel ventre: “Un morto, sì, un morto. E a voi, cosa capiterà a voi domani?”.
PESARO_CHIESA DELL’ANNUNZIATA 1 febbraio 2024 ore 21
Biglietto di cortesia 3 euro in prevendita QUI.
BIGLIETTERIA CHIESA DELL’ANNUNZIATA 334 3193717
il giorno di spettacolo da un’ora prima dell’inizio
INFO AMAT 071 2072439
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