di Beppe Fenoglio
costumi di Tommaso Lagatolla
spazio e luci di Tommaso Contu
Il 1 marzo si sono contati cento anni dalla nascita di uno scrittore straordinario e che ho sempre sentito vicino, complice, modello. Un narratore infaticabile, solitario, appassionato, politico – “lo scrittore partigiano”, che ha saputo fare della propria esperienza vissuta, un assoluto letterario. Non a caso, la mia prima regia teatrale è stata Come vivo acciaio, tratto dal suo romanzo capolavoro Una questione privata.
Per questo spettacolo ho immaginato un arco narrativo che unisce come un filo invisibile i racconti di Fenoglio che ho divorato da ragazzo e ripreso in mano così tante volte nella vita da perderne il conto: Ma il mio amore è Paco e Il gorgo.
Aleggiano in essi, figure leggendarie che popolavano i miei paesi dell’anima- del resto, le storie di famiglia e certa autobiografia fenogliana non sono così lontani dai racconti dei miei luoghi, dei paesi e della mia gente. Al centro di essi vibrano mitiche figure familiari, “il parentado”: lo zio, il Padre, il bambino… Gli occhi del bambino – sia quelli del piccolo Beppe Fenoglio, spedito in Langa in vacanza dai suoi parenti, sia i nostri di quando eravamo alti come il tavolo – hanno da sempre un dono: l’abilità di rendere assoluti gli avvenimenti, il sapere creare un’aura eterna attorno a fatti quotidiani, agli spazi comuni e agli oggetti di tutti i giorni. Osservano. Imparano. Mettono da parte per quando sarà ora… Attraverso le avventure, le cadute e i segreti del mitico “zio Paco”, il bambino conosce nuovi, rischiosi ed elettrizzanti lati della vita. Comprende che è fatta di chiaroscuri, di sbagli, anche di momenti impresentabili, incontra l’imprevedibile: esempi di vita al contrario che diventano parte della formazione emotiva di un uomo. Fenoglio si diverte e ci diverte, con le storie a volte roboanti del suo parentado. La sua verve, il ritmo e la tensione del gioco d’azzardo ricordano i migliori western del cinema. E dopo averci lanciato in una folle corsa, sa bene anche come toccarci il cuore, sa darci l’improvvisa lezione, sa farci sentire un senso ancor più profondo in ciò che ci stava già (magistralmente) raccontando. Dopo le vicende di Paco, sarà il bambino stesso a doversi confrontare con la figura paterna. Dovrà quindi rammentarsi di ciò che realmente conta, nel racconto de Il gorgo che conclude il nostro viaggio ideale.
Mi unisce a Fenoglio l’amore indissoluto per la mia terra, per quei “saloons” che ancora vedo qua e là distesi tra Canelli, per la Langa – che diventa il simbolo di tutte le province italiane –, per la gente di questi luoghi che non ha mai smesso di lavorare, cresciuta con l’idea che il lavoro è l’onore del mondo, quando non la migliore preghiera. Ma pure quella voglia di cercare, di misurarsi (anche coi propri drammi), di restare attaccati ad una concretezza, ad una materia, a passi fatti uno dopo l’altro, che passa dalla terra e da queste case. E insieme, la voglia, l’azzardo, una volta incamminatisi, di voler arrivare fino in fondo ad una questione.
Recitarlo oggi, all’età esatta in cui Beppe Fenoglio ci ha lasciati, mi dà una strana consapevolezza. Qualcuno la chiamerebbe responsabilità… Certamente un onore che da ragazzo, mai avrei immaginato.
Andrea Bosca
SANT’ELPIDIO A MARE_TEATRO CICCONI domenica 2 ottobre ore 21.30
Biglietto posto unico 15 euro in prevendita QUI