Torna finalmente a riaprirsi il sipario del Teatro Raffaello di Urbino domenica 16 maggio su iniziativa del Comune di Urbino con l’AMAT su Ghita. Storia della Fornarina, lettura scenica di Giulia Bellucci, drammaturgia di Simone Faloppa e Giulia Viana, regia di Giacomo Ferraù.
“La notte tra il 6 ed il 7 Aprile del 1520, in un venerdì santo, il mondo perdeva uno dei suoi geni artistici più grandi. Il divino pittore Raffaello Santi moriva lo stesso giorno di Cristo. Forse questa casualità – si legge nelle note allo spettacolo della compagnia -, forse la sua sepoltura nel Pantheon, unitamente al mondo perfetto e sterminato che l’Urbinate ha regalato a tutte le generazioni successive, forse tutte queste cose insieme, hanno conferito al Pittore un’aura leggendaria simile a quella di una divinità. Ghita racconta un Raffaello inedito, umano, preda delle passioni, diviso, combattuto tra la carnalità dell’incontro amoroso e la sacralità più assoluta dell’arte.
Il “Dio mortale” (cit. Giorgio Vasari) visto attraverso gli occhi di Margherita Luti, l’ultima amante e sicuramente la più famosa: La Fornarina. Ghita racconta di un amore assoluto e potentissimo. Amore e morte insieme. Un sentimento universale mai completamente risolto, una perdita che non è lecito piangere, se non nel silenzio di un convento. Le lacrime agli occhi di Ghita, di fronte alla tomba del proprio amore scomparso appena trentasettenne. L’urlo di dolore che le lacera le viscere, quando vede che accanto al nome del suo amore, hanno inciso nella pietra il nome di una donna che non ha mai amato; e non il suo. La corsa di Ghita attraverso la città, derisa e allontanata da tutti, preda della rabbia ed accecata del dolore. La sua scelta di chiudere il mondo fuori dalla porta del convento, o forse di chiudere sé lontano dal mondo. In ogni caso, la scelta di galleggiare nel bianco, per dimenticare i colori troppo accesi di un amore finito. Il convento dove lentamente, anno dopo anno, Ghita si spegne. Con i lunghi capelli bianchi che le scendono sulle spalle. Bianchi come la farina del forno in cui è cresciuta”.
Tra i banchi di scuola o negli studi universitari tutti ricordano – scrive Giacomo Ferraù nelle note di regia – essersi imbattuti ripetutamente nel nome di Raffaello Sanzio. Qualcuno ne conserverà di lui radi cenni biografici, qualcuno piccoli cenni di aneddotica, ma alla maggior parte rimane scolpita nella mente l’immane grandezza dei suoi lavori.
In pochi casi, penso ad Isadora Duncan, la vita di un artista è talmente piena di eventi irripetibili da sopravvivere alla grandezza dell’opera che ci ha lasciato. Eppure raccontare l’artista, conoscere la sua biografia, le sue passioni, gli incontri più importanti è spesso fondamentale per comprendere a tutto tondo un Genio del calibro di Raffaello. Questo monologo ha come primo intento avvicinare un pubblico eterogeneo, per avvicinarlo al Divin mortale, ritraendolo come “uomo”. Uno spettacolo che contrappone alla drammatica storia d’amore tra Raffaello e Margherita, una girandola di personaggi divertenti e pieni di vita, visti attraverso gli occhi della protagonista. I personaggi riaffiorano nel ricordo e nelle storie, dando vita ai vari Agostino Chigi, papa Giulio II, Leone X, Giulio Romano, le suore, ma anche panettieri, garzoni, levatrici, prostitute un ecosistema delicato e raffinato di creature disegnate come una caricatura in chiaroscuro secondo un gioco teatrale che non scade mai nella parodia”.
Lo spettacolo è prodotto da Compagnia teatrale Eco di fondo. Per informazioni e biglietti (posto unico numerato 8 euro) biglietteria del teatro 0722 2281, il giorno precedente lo spettacolo dalle ore 16 alle ore 20 e il giorno di spettacolo dalle ore 16 all’inizio previsto alle ore 17. Vendita on line su www.vivaticket.com.